Opinione e verità

dall’articolo di Marisa Grande, “Tra opinione e verita’”, pubblicato dalla rivista ANXA Numero 69 – maggio/giugno 2014

Limiti tra opinione e verità

La separazione tra opinione (doxa) e verità (alétheia) fu oggetto di dispute sin dal tempo dei primi filosofi greci, i quali avevano rifiutato le spiegazioni mitologiche per giustificare l’origine e la scomparsa dal mondo di tutte le cose della natura. Ciò richiedeva una ricerca necessaria a rendere meno opinabile il sapere intorno alla nascita dei fenomeni e dell’universo. Essi intesero, perciò, risalire all’arché, ossia all’origine, per pervenire ad una conoscenza innegabile, incontrovertibile, assoluta, immutabile nel tempo, a cui dettero il nome di sophia (sapere), di logos (ragione), di alétheia (verità), di epistème (scienza).

Estendendo i medesimi principi che regolano i fenomeni percepibili, applicarono il rigore della loro ricerca sulla materia primaria dell’universo e sulla struttura del cosmo alla natura e alla funzione dell’anima e alla moralità umana.

Da Talete di Mileto (624 -548 a. C) a Parmenide di Elea (515/510 a. C. – 540 a. C.), ad Aristotele (384-322 a. C.), ad Archimede (287-2012 a. C.) si andò delineando un processo di conoscenza che risaliva alle cause, secondo un metodo che oggi si ritiene essere stato una premessa per quello moderno.

Platone definì Parmenide «venerando e terribile», per il rigore che contraddistingueva il suo metodo della “non-contraddittorietà dell’essere e del pensiero”, che si basava su una stringente logica formale. Nel “Poema sulla natura” egli si era fatto guidare dalla dea della giustizia Dike, garante dell’ordine cosmico e dell’ordine logico, per essere condotto lungo la via della sapienza verso il  «cuore inconcusso della ben rotonda verità». Ispirandosi ai pre-socratici, che avevano cercato l’origine della mutevolezza dei fenomeni in un principio statico, Parmedide, per esprimere la verità scientifica, aveva fatto ricorso ad una forma di pensiero-essere, che egli associava all’aspetto espressivo dell’essere occulto. Cercando la verità tramite un metodo razionale era risalito ad un principio unico e immobile, ingenerato ed immortale, indivisibile ed eterno, compreso per “necessità” nel limite di uno spazio perfetto e compiuto come quello chiuso e uniforme di una sfera.

Albert Einstein, muovendosi nel XX secolo sullo stesso piano della razionalità, per dimostrare che  l’ordine cosmico deriva dall’ordine logico, si basò su rigorose formule matematiche e pervenne alla formulazione di quella Teoria della relatività, di cui ancora oggi si cercano le conferme sperimentali in relazione alle onde gravitazionali primordiali. Anch’egli, come Parmenide, concepì l’universo di forma sferica, non essendo possibile immaginare una forma migliore per contenere l’essere perfetto da cui era derivato l’universo. Nella concezione razionale del cosmo, a partire da quell’unità primordiale estremamente compressa ipotizzata nella teoria del Big bang, fino al modello di universo illimitato, ma finito, si ricorre all’immagine della sfera, non potendo la mente umana concepire nulla d’imperfetto da relazionare a quel “principio perfetto” dell’origine, malgrado che le osservazioni del fondo cosmico rimandino ad un modello modificato rispetto alla perfezione della sfera (Anxa 1-2 Gennaio-Febbraio 2014).

La sintesi degli opposti

Nella disputa tra Parmenide e i filosofi orientati a considerare il processo di trasformazione proprio del divenire nei fenomeni naturali e nella storia, egli considerò l’opinione una forma impropria dell’uomo ad accostarsi alla verità, essendo i sensi ingannatori e costruttori di una forma illusoria della realtà.

A differenza degli intransigenti suoi discepoli eleati, però, Parmenide assunse un criterio più equilibrante nella contrapposizione tra verità, scaturita dalla ragione, e opinione, scaturita da una conoscenza fallace, limitata ai soli sensi. Tra una natura composta dal molteplice in continuo mutamento, oggetto delle dispute tra filosofi del divenire e il concetto di verità assoluta, forma perfetta e immutabile del “pensiero-essere”, Parmenide rifletté e ammise che i fenomeni (dokùnta) non potevano essere pensabili come negazioni a priori della verità. Li considerò, perciò, come manifestazioni apparenti del fondamento occulto e autentico dell’essere e, di conseguenza, anche le opinioni su di essi, potevano essere plausibili e degne di essere ascoltate, come gli aveva suggerito la dea della giustizia,  ai fini di «imparare come anche l’esistenza delle apparenze sia necessario ammetta colui che in tutti i sensi tutto indaga».

Eraclito, filosofo del “divenire” e assertore dell’osservazione dei fenomeni tramite i sensi, pur partendo dalla posizione opposta rispetto alla “filosofia dell’essere” di Parmenide, in considerazione che non potesse esistere un fenomeno di natura se non in virtù dell’esistenza del suo contrario e che entrambi, pur scontrandosi, si unificano, pervenne anch’egli ad una rara sintesi. Rifacendosi alla “dottrina dei contrari” in continuo conflitto (polemos) e alla loro fusione armonica riconobbe in tale sintesi un’unità assoluta, una singolarità perfetta che non poteva che coincidere con il concetto di perfezione del  divino.

MARISA GRANDE- “ILLIMITATI LIMITI”, 1993

Nel DNA psichico: l’interconnessione elettromagnetica tra tutti gli elementi dell’universo

“Correlando il radar-guida per particelle subatomiche con il principio trascendente-guida per l’essere umano e il campo potenziale nascente dal vuoto quantico con la non-località trascendente, anche le condizioni di a-spazialità e di a-temporalità potrebbero essere assimilate nei concetti che esprimono le condizioni metafisiche dell’infinito e dell’eternità.”

(Marisa Grande, L’Uno e il molteplice, in Anxa settembre-ottobre 2014)

…contrastanti vicende naturali, per gli uomini che proiettano all’esterno da sé ogni azione distruttiva, non avendo consapevolezza di quanto anche ogni singola particella vibrante energia interagisca nell’universo in modo da innescare un’escalation di fenomeni apparentemente indipendenti dalle azioni umane, hanno formato nel tempo il substrato di un DNA psichico composto da paure ancestrali e orientato alla ricerca dei capri espiatori sui quali far ricadere le colpe originarie“.

(Marisa Grande, Nel DNA psichico, in Corriere salentino 18 aprile 2021).

Poiché la vibrazione di ogni singola particella attiva nel microcosmo interagisce con le vibrazioni di tutte le particelle dell’intero universo, è fondamentale che la mente dell’uomo emetta vibrazioni orientate al Bene, per liberare il cosmo dal Male del latente “caos distruttivo”.

(Marisa Grande, Nel DNA psichico, in Corriere salentino 25 aprile 2021).

Il motto della Synergetic art è:

nell’universo se un punto vibra, tutto il cosmo vibra, la Synergeti art intende essere quel punto che vibra”

(Dal MANIFESTO DEL MOVIMENTO CULTURALE SYNERGETIC ART 1990 di Marisa Grande)

  • Il Movimento culturale Synergetic art corrisponde all’estensione della filosofia che sin dal 1970 alimenta la produzione creativa di Marisa Grande, la quale si esprime in vari ambiti del’arte visiva e storico-artistica –

ARTICOLO DI MARISA GRANDE – ANXA SETTEMBRE-OTTOBRE 2014

Nel DNA psichico – il Teriomorfismo

Le immagini della preistoria sono le fonti più antiche a cui possiamo attingere per comprendere la logica con la quale l’uomo ha costruito la sua conoscenza del mondo e dell’universo e con la quale ha intessuto anche le trame di una storia dell’uomo, positiva e negativa, che conserviamo nella memoria collettiva.
Risalire all’origine della formazione di quelle conoscenze è un modo per sgombrare il campo del nostro DNA psichico da false credenze e da perseveranti rivalità tra esseri simili.
Non intendo invadere alcun campo delle specifiche conoscenze e professionalità attuali, mi limito a dimostrare, con l’aiuto della paleostronomia, che non tutto ciò che riponiamo nel nostro inconscio deriva da corrette forme di ancestrali conoscenze. (Marisa Grande)

25 Aprile 2021

Nel DNA psichico – il Teriomorfismo

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Nel DNA psichico - il Teriomorfismo - Corriere Salentino

Il teriomorfismo rientra nelle antiche pratiche sciamaniche, essendo collegato alla concezione che alcune divinità si manifestavano all’uomo in forma animale.

Tale pratica fu generalmente attribuita al polidemonismo, ossia ad una forma ancestrale di religione,  erroneamente considerata precedente al politeismo.

Essendo, però, anche presente in forme di religiosità superiore, dove polidemonismo e politeismo erano  presenti in contemporanea (come nella religione dell’antico Egitto), il teriomorfismo fu poi  inquadrato come forma di espressione oppositiva al politeismo.

In religioni basate sull’opposizione tra le categorie concettuali del Bene e del Male, le divinità ordinatrici dei cicli cosmici componevano il pantheon positivo, rassicurante, del politeismo e le divinità distruttive, capaci di insinuare il caos nei cicli ordinati della natura, componevano il pantheon negativo, disturbante, del polidemonismo.

Per risalire all’origine di tale concezione duale, possiamo cercare nel repertorio delle immagini  tracciate dall’uomo del Paleolitico all’interno delle cavità-santuario, dove si praticavano gli antichi riti fondamentalmente collegati alla propiziazione della sopravvivenza della specie umana.

Sulle pareti di quelle grotte, considerate come luoghi privilegiati, si cristallizzavano anche le figure dei protagonisti di quelle pratiche cultuali, gli sciamani che detenevano il potere della conoscenza delle dinamiche insite nella natura, dalle quali essi traevano insegnamenti utili all’intera comunità, che dipendeva dalla loro sapienza, dai loro insegnamenti, dalle loro cure e dalla loro protezione.

Per questo, per meglio compenetrarsi con le divinità, lo sciamano adottava il mascheramento e se la divinità si manifestava in forma animale, l’immagine risultante uomo-animale corrispondeva ad una figura “teriomorfa”, una delle tante che sono state graffite e dipinte sulle pareti delle grotte dell’area franco-cantabrica. Lo sciamano, che assumeva la forma animale, per mezzo del mascheramento, attirava magicamente sulla sua persona la forza, la potenza, le virtù che permettevano a quell’animale di essere assimilato a una divinità avente tutte quelle specifiche virtù. Spesso per poter sommare su una medesima figura sciamanica più caratteristiche, si combinavano nella stessa immagine aspetti particolari di diversi animali, così che il mondo mitico dell’arte che da quell’espressione ha tratto ispirazione, risulta spesso popolato da molte forme ibride, o inventate, di “animali favolosi”.

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Una delle più antiche rappresentazioni di teriomorfo è il cosiddetto “Stregone”, una figura enigmatica che fonde su di sé l’aspetto di più animali. Presenta un corpo di cavallo, anche se gli arti sembrano quelli di un orso e anche se l’atteggiamento corrisponde ad una forma umana danzante. Il viso è caratterizzato da due occhi da rapace, mentre il palco di corna che orna la sua testa è riferibile a quello di un cervo. Secondo le chiavi di lettura applicate fino a tempi recenti, che associavano qualsiasi immagine riprodotta nel Paleolitico con l’aspirazione ad assicurare la continuità della vita per mezzo di pratiche tendenti a procurare il cibo, lo Stregone sembrerebbe rappresentare uno sciamano danzante intento a svolgere un rituale necessario a propiziare la buona riuscita della caccia, necessaria alla sopravvivenza.

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Applicando, invece la chiave di lettura che già ha permesso all’antropologo Rappenglueck di associare le figure del bisonte, dell’uomo morto e dell’uccello, dipinte nel cosiddetto “pozzo delle costellazioni” nella Grotta di Lascaux con le costellazioni circumpolari nord, nello stesso ambito di studi della Paleo astronomia, è emerso che anche lo Stregone di Le Trois Frères, corrisponde ad una figura composta, descrivibile collegando tra loro alcune stelle appartenenti a costellazioni prossime alla Via Lattea, come quelle formanti la parte superiore dell’Antropomorfo celeste Orione e quelle di Auriga, la costellazione formante la testa dell’ancestrale Grande Madre astrale.

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La figura dello Stregone risale a 13.000 a. C, mentre la macro-costellazione che delinea la Grande Madre era già nota 40.000 anni fa e la figura di Orione era già nota intorno a 33.000 anni fa, come attestano i simulacri scultorei di entrambi, rinvenuti in area centro-europea.

Le due immagini astrali antropomorfe corrispondevano a quelle della coppia celeste, di due divinità, femminile e maschile, preposte a garantire alternativamente la continuità armonica dei due emicicli, di oltre 13.000 anni ciascuno, del grande ciclo della precessione degli equinozi.

La Grande Madre del periodo aurignaziano, il cui simulacro corrisponde alla Venere di 40.000 anni fa, era preposta all’emiciclo compreso tra 50.987 e 37.654 a. C.

Orione era preposto a protettore dell’emiciclo compreso tra 37.654 e 24.321a.C.

La Grande Madre del periodo gravettiano, il cui simulacro corrisponde alla Venere di Willendorf, era preposta alla protezione del periodo compreso tra 24.321 e 10.987 a. C.

L’individuazione di una figura astrale zoomorfa come lo Stregone, insinuata tra le due figure astrali antropomorfe costituenti la “coppia celeste” protettiva dei cicli cosmici, rimanda all’intromissione di un elemento disturbante, caotico, che non poteva che turbare un plurimillenario equilibrio cosmico.

Lo Stregone rappresenta, quindi, l’antesignano di tutte le figure che minano a distruggere un equilibrio già raggiunto in natura.

Si presenta, insinuato a forza, tra le due divinità componenti il pantheon di una religione superiore tendente al Bene, quale “elemento disturbante”, preposto ad introdurre tra i cicli armonici della natura il tanto temuto caos.

La sua figura rientra, pertanto, nell’ancestrale pratica di polidemonismo, quella forma di religiosità opponente, che introduce il Male nella manifestazione delle divinità apportatrici del Bene.

Tale concezione duale è scritta nel profondo della psiche dell’uomo, è connaturata al suo DNA psichico ed emerge apportando le paure e le angosce della manifestazione nel mondo di un caos, ritenuto latente e sempre incombente, all’interno di un armonico, ideale cosmo.

Poiché la vibrazione di ogni singola particella attiva nel microcosmo interagisce con le vibrazioni di tutte le particelle dell’intero universo, è fondamentale che la mente dell’uomo emetta vibrazioni orientate al Bene, per liberare il cosmo dal Male del latente “caos distruttivo”.

Nello stesso modo, vincendo le angosce dettate da un ancestrale polidemonismo, è necessario che l’individuo liberi in proprio DNA psichico dai demoni che una società primordiale ha introdotto nella vita terrena, partendo dallo Stregone di Le Trois Frères e continuando con lo Sciamano della Grotta di Porto Badisco, con il Demone di Arselantepe…, tutti antesignani dei demoni che popolano la produzione artistica di tutti i tempi.4 of 4

Nel DNA psichico - il Teriomorfismo - Corriere Salentino

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Giornata della Terra

Giornata della Terra
La bandiera non ufficiale della Giornata della Terra, creata da John McConnell
Nome originaleEarth Day
Data22 aprile
Periodoannuale
Celebrata intutto il mondo
Oggetto della ricorrenzasupporto per la protezione dell’ambiente
Data d’istituzione1970

(Da: Wikipedia)

…contrastanti vicende naturali, per gli uomini che proiettano all’esterno da sé ogni azione distruttiva, non avendo consapevolezza di quanto anche ogni singola particella vibrante energia interagisca nell’universo in modo da innescare un’escalation di fenomeni apparentemente indipendenti dalle azioni umane, hanno formato nel tempo il substrato di un DNA psichico composto da paure ancestrali e orientato alla ricerca dei capri espiatori sui quali far ricadere le colpe originarie“.

(Marisa Grande, Nel DNA psichico, in Corriere salentino 18 aprile 2021).

La dinamica ciclica della natura:

alternanza tra caos e cosmo

MARISA GRANDE- REPENTINE INVERSIONI - 1990 - olio cm 60 x 50 - IMG_20200530_172734

MARISA GRANDE, “REPENTINE INVERSIONI”, 1990

Olio su tela – cm 60×50

Apri il pdf cliccando sul titolo seguente:

MARISA GRANDE- REPENTINE INVERSIONI – 1990+ poesia

Nel DNA psichico: un cosmo stratificato

di Marisa Grande

18 Aprile 2021

Nel DNA psichico: un cosmo stratificato

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Nel DNA psichico: un cosmo stratificato - Corriere Salentino

La concezione arcaica di un cosmo composto da tre distinti mondi sovrapposti: l’infero, il planetario e il celeste, dettata dalla visione che può avere un uomo posizionato su un qualsiasi punto della Terra, richiedeva anche la presenza di un perno centrale, che potesse tenere insieme i tre mondi stratificati, affinché ognuno non dovesse andare alla deriva determinando il caos nell’intero universo. Nella concezione ancestrale basata sull’osservazione della natura, quel perno ideale, poi definito “asse cosmico”, poteva essere associato al tronco di un albero, come l’alto fusto di un larice, uno degli alberi considerati “precursori della rinascita post-glaciale”.

Dopo il discioglimento dei ghiacciai perenni della Glaciazione Würm, i larici avevano formato le foreste nell’area a clima temperato posta ai margini del fronte degli ultimi ghiacciai. Per questo, erano considerati “alberi sacri”, il cui tronco poteva essere utilizzato come “scala sciamanica” per permettere allo sciamano di percorrere in verticale i tre mondi sovrapposti. (Marisa Grande, Come decifrare il misterioso Palo di Shigir, III Parte – Chiave cosmogonica, Anxa anno XIV, marzo-aprile 2016 –   http://www.anxa.it)

Ne derivava, secondo la cosmogonia dell’epoca, che le radici dell’albero sacro per eccellenza, quello che reggeva l’intero cosmo, penetravano negli intricati anfratti di un mondo sotterraneo, oscuro, misterioso e infido come quello “infero”.

Al mondo “planetario”, dove il divenire di tutti gli esseri viventi era visibile per mezzo della loro crescita, espressiva della vita, era invece destinato il tronco dell’albero sacro, la parte centrale della “scala sciamanica”.

La chioma di quell’albero cosmico ideale si diramava per tutta la calotta della “volta celeste” e i suoi robusti rami potevano accogliere tutte le brillanti dimore degli dèi.

Alzando gli occhi al cielo, dove la luce degli astri filtrava tra le intricate ramificazioni dell’albero cosmico, l’uomo poteva aspirare a comprendere il linguaggio espresso dagli dèi e ricevere gli insegnamenti necessari a comporre vicende, intrecciare storie, ricavare pronostici e moniti da applicare in terra, per rinsaldare un ancestrale rapporto tra il sé e un pantheon di

esseri costituente l’altro da sé, guide esemplari verso un Tu superiore, ritenuto “assiso nel Polo celeste” (Osiride per gli egizi del Primo Tempo, Thor per gli scandinavi, Zeus per i greci…).

Tale stretto vincolo topologico e morale tra cielo e terra sanciva un rapporto di corrispondenza percepito dagli uomini come condizione di stabilità della Terra.

Le oscillazioni planetarie, dovute ad un effetto trottola accentuato in fase di disgelo, conseguenti alla necessità di un continuo assestamento intorno ai Poli delle placche crostali alleggerite dai ghiacci, rendevano però instabile tutta la superficie terrestre provocando terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche, incendi, alluvioni e altri fenomeni dovuti al calore endogeno della Terra, che modificavano il millenario assetto territoriale garantito dalla relativa stabilità glaciale durante la lunga Glaciazione Würm.

Ma già in fase di riscaldamento globale iniziato nell’Olocene a partire dal millennio XI a.C, le ceneri dei vulcani in eruzione, coprendo il cielo e impedendo alle radiazioni solari di raggiungere la superficie terrestre, avevano innescato un processo di controtendenza climatica.

In tali condizioni di altalenante instabilità, anche gli astri sembravano oscillare nel cielo e alcuni, infuocati, precipitavano sulla terra, apportando distruzione e morte.

Un impatto cometario risalente al 9.500 a.C., registrato nei rilievi dei megaliti di Gobëkli Tepe, riducendo l’inclinazione dell’asse terrestre, aveva fatto ruotare più velocemente la Terra così da accelerare quel processo di raffreddamento già iniziato, che conduceva verso una nuova “breve glaciazione”, denominata Dryas recente (9.000-8.000 a.C).

Agli occhi dell’osservatore di tali eventi gli dèi apparivano muti e insensibili, addormentati come il mitico Telepinu, il dio della fertilità e della rigenerazione, che eclissandosi periodicamente, apportava glaciazione, carestia e morte (Marisa Grande, L’orizzonte culturale del megalitismo, Besa Editrice, Nardò 2008, Cap I, L’originaria coscienza di sé e il rapporto dell’uomo con il mondo, pag. 72- 84).

Tali contrastanti vicende naturali, per gli uomini che proiettano all’esterno da sé ogni azione distruttiva, non avendo consapevolezza di quanto anche ogni singola particella vibrante energia interagisca nell’universo in modo da innescare un’escalation di fenomeni apparentemente indipendenti dalle azioni umane, hanno formato nel tempo il substrato di un DNA psichico composto da paure ancestrali e orientato alla ricerca dei capri espiatori sui quali far ricadere le colpe originarie.

Riposto in forma latente nell’inconscio collettivo, tale aspetto del DNA psichico emerge dall’inconscio di ogni individuo ogni qual volta venga stimolato anche da futili vicende personali, sfociando in angosce e in forme di panico apparentemente irrazionali, o in abnormi reazioni distruttive. L’inconscio collettivo dell’umanità riemerge, perciò, popolato da archetipi dalle forme apparentemente inconsulte, derivate dalla concezione primordiale di esseri ambivalenti, positivi e negativi, da divinità benevole e terrifiche insieme, in parte appartenenti al mondo infero e in parte emergenti da quello, per aspirare a riconquistare un mondo celeste perduto, da esseri in parte anfibi e in parte alati (sirene e tritoni bicaudati, anunnaki, dagon, mommo….  per metà umani e per metà pesci o rettili o uccelli).

Per il panorama delle attuali credenze, assumono aspetti di angeli e di demoni, di esseri celestiali eletti o caduti nell’abisso. Sono immagini derivate dalle figure astrali fluttuanti su un orizzonte planetario oscillante tra l’infero e il celeste, tra il misterioso emisfero australe e il più noto emisfero boreale, immersi o emergenti dalle onde di un “oceano celeste” che costituisce un orizzonte per natura instabile a causa dell’oscillante effetto trottola della Terra.

La formazione degli archetipi di tali esseri che ancora popolano l’inconscio collettivo dell’umanità, si giustificano con le primordiali osservazioni astronomiche di alcune costellazioni, che apparivano e scomparivano periodicamente, come immerse in un mare di tenebre, che per il mistero che lo circondava era considerato abitato da divinità terrifiche (Set, Tiamat…) o da costellazioni serpentiformi ( Scorpione, Eridano, Ofiùco…) ossia da esseri mostruosi da incatenare nel profondo, perché considerati infidi, sempre in agguato e pronti a trattenere il Sole nelle tenebre della notte per provocare il tanto temuto “caos apocalittico”.

LA GRANDE RAGNO

È entro tale orizzonte mitico che si pongono anche le metamorfosi, comprese quella dell’ancestrale dea benevola del Pleistocene, declassata a dea terribile apparsa nell’Olocene in forma di Grande Ragno, di farfalla Magùra, di civetta…

Il retaggio di quella concezione primordiale ha prodotto fenomeni positivi e negativi, che oggi riemergono solo per mezzo di forme archetipiche di cui è popolata la psiche degli esseri umani, ma che spesso rinnovano anche forme di ataviche rivalità, di odio, di violenza, di morte…  Consapevoli che rievocano eventi lontani dalla nostra civiltà e dalla logica di un Sapiens cosciente, si può oggi rivelare il loro palese “non senso” e liberare così l’umanità da insensate angosce ancestrali. Un mito da meglio comprendere, per “dipanare i misteri” e incanalare il suo significato verso il superamento di un’immagine negativa è proprio quello della Grande Ragno, uno degli aspetti attribuiti alla Grande Madre astrale, che pur aveva dominato benevolmente la lunga fase finale del Pleistocene, conclusa nel millennio XI a.C.

Il merito di aver annullato in parte tale ingiustificato aspetto negativo dell’ancestrale dea Madre appartiene al Salento, il territorio nel quale si fa riferimento al superamento dei terrifici miti ctoni ancestrali per mezzo dell’adozione delle “idee chiare” di Atena. La dea greca appare nel Salento come immagine rinnovata in positivo della Grande Ragno. Abile stratega, coadiuvata dalla riabilitata Aracne, l’orgogliosa fanciulla provetta tessitrice che aveva osato sfidarla, Atena agisce alla stregua degli antichi costruttori di megaliti. Il mito suggerisce che la dea della Sapienza e la fanciulla-ragno applicano in fase storica la Iatraliptrice, ossia una forma di geo-puntura per la cura della Terra, intessendo tele di ragno stabilizzanti nel Salento, denominato anche per questo, ma non solo per questo, “terra di Aracne”.

(Marisa Grande, “Salento terra di Aracne”, articolo tratto dal Cap. VI, pp.302-308 del libro di Paleoastronomia dal titolo L’orizzonte culturale del Megalitismo, Besa 2008)”pubblicato da Corriere Salentino).

Terremoti nel mondo dal 4 al 18 aprile 2021

CORRELAZIONE TRA TERREMOTI TRAMITE CIRCOLAZIONE DI ELETTROMAGNETISMO SU CIRCONFERENZE TANGENTI

La distribuzione dei terremoti in ogni cella geomagnetica è dettata dalla vibrazione ad armonica sei irradiata dall’elettromagnetismo emesso dal rispettivo centro.

Il luogo e l’intensità dell’energia sismica sono dettati dall’interazione di elettromagnetismo emesso dai centri di tre celle che si intersecano.

Nel DNA psichico

La Farfalla Magura

di Marisa Grande

11 Aprile 2021

La Farfalla Magura

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La Farfalla Magura - Corriere Salentino

Riprendo l’argomento relativo alla farfalla quale archetipo dell’anima per dire che gli archetipi, corrispondono alle sensazioni e alle emozioni che compongono il DNA psichico, ossia costituiscono i corrispondenti immateriali dei mattoni biologici materiali che compongono il DNA genetico dell‘uomo. Le sensazioni che suscitano determinate forme stimolano il lobo destro del cervello, che elabora liberi pensieri creativi e associativi per permettere di risalire all’origine dei significati inerenti alla forma originaria, ossia all’archetipo che ha generato per primo nell’essere umano quelle sensazioni e a cercare le motivazioni che hanno permesso in origine di associare forma, emozioni e relativi significati.

A differenza del simbolo, che stimola il lobo sinistro del cervello per far giungere a comprendere razionalmente una forma elaborata volontariamente quale espressione sintetica di un significato, l’archetipo corrisponde invece alla naturale chiave interpretativa dei misteri dell’universo basata sulle emozioni e sulle sensazioni dettate dal lobo destro del cervello, che sviluppa pensieri creativi e immaginativi e per questo non sempre veritieri.Link Sponsorizzato

Ne deriva che mentre i simboli possono essere tanti quanti possono essere quelli prodotti dalle diverse culture e anche dai diversi individui che intendono comunicare dei significati, l’archetipo invece è solo uno, poiché corrisponde alla primitiva forma che ha suscitato la sensazione originaria.

L’archetipo permane nel tempo in individui distinti da quel primo che fece esperienza di quelle emozioni e di quelle sensazioni, perché impresso in modo indelebile nell’inconscio collettivo di tutta l’umanità. Per questo ogni archetipo che rievoca la sensazione suscitata in origine produce effetti simili nella psiche di ogni individuo e rappresenta l’elemento unitario avente caratteristiche comuni per tutti gli uomini. Le sensazioni relative alla gioia o alla paura, al benessere o il malessere, all’amore verso l’altro o al rifiuto dell’altro sono fondamentalmente le stesse per ogni individuo e costituiscono le basi di un lessico interpersonale, composte di archetipi con i quali si costruiscono i linguaggi, iconici e verbali.

Quando una mia amica, nel commentare l’articolo dal titolo “La farfalla come archetipo dell’anima”, mi dice «Ecco perché nel guardare una farfalla si avverte qualcosa di sottile e misterioso che allieta e al tempo stesso sgomenta!» vuol dire che la sua psiche non si è fermata alla valutazione di tutte le esperienze di grazia, di leggiadria di bellezza, relative all’incontro con quelle meravigliose creature che sono le farfalle diurne dagli sfavillanti colori, ma è risalita all’origine dell’archetipo, fino a scoprire della farfalla diurna e solare, anche l’alter ego, il suo aspetto più inquietante, misterioso e notturno.

La farfalla notturna rievoca nell’ancestrale nome “magùra” le inquietudini che genera la magia e tutte le pratiche ad essa associate, nei cui nomi mantengono l’originaria radice “mag”. Il solo nome magùra suscita le sensazioni di paura inculcate nell’infanzia attraverso immagini mitiche o racconti della più antica tradizione orale, che ancora generano inquietudine nell’animo degli adulti.

Sintetizzo qui quanto riportato da pag. 125 a pag. 127 del libro “Dai simboli universali alla scrittura”, Besa 2010, riguardante l’origine ancestrale di certe credenze che hanno costruito il substrato collettivo del nostro inconscio.

Riguardo all’origine della metamorfosi della dea Madre in farfalla scrivo che la trasformazione da dea opulenta a dea farfalla passa attraverso un processo formale di origine astronomica, operato per riduzione dell’immagine di una macro-costellazione, di cui Cassiopea, la costellazione a forma di farfalla, ne rappresenta la risultante residua visibile, dopo il tramonto della forma completa della dea. Cassiopea è una costellazione settentrionale circumpolare composta da tredici stelle, delle quali cinque sono meglio visibili, perché più splendenti delle altre. Quando la sua forma a zig-zag si trova sotto il Polo Nord Celeste descrive una ‘W’, mentre quando è sopra descrive una ‘M’.

La sua immagine rappresentata nei pittogrammi in forma di farfalla schematizzata (come nei segni incisi sul busto della Sciamana di Passo di Corvo, o come nei pittogrammi di Catal Huyuk o negli affreschi di Arselantepe) assunse anche il ruolo di crittogramma, simbolico della dea Madre, le cui lettere M e W rappresentavano la parte per il tutto della macro-costellazione paleolitica. La forma ‘ω’, della lettera greca ‘omega’, con il suo significato di ‘fine’, ne decretava simbolicamente il definitivo declino.

La costellazione Cassiopea, quindi, residuo visibile nell’emisfero boreale dopo il tramonto delle costellazioni che avevano composto la forma astrale dell’opulenta Grande Madre della fase gravettiana, per la sua forma appariva come una farfalla e per il suo vibrante scintillio sembrava librarsi in volo nel cielo.

I sacerdoti astronomi emettevano pronostici relativi al grado di fertilità annuale sulla base dell’intensità del suo sfarfallio, soprattutto sulla base della vibrazione pulsante della sua stella più settentrionale Gamma, la gigante azzurra instabile per gli anelli di gas che emette non regolarmente.

Visibile nel cielo notturno, Cassiopea poteva essere associata a tutte le creature lunari e al luogo di accoglienza delle anime che, vibrando anch’esse nel cielo come farfalle in volo, s’innalzavano dalla terra per ricongiungersi ad essa, ritenuta la costellazione generatrice delle anime degli uomini.

Alla farfalla notturna, la magùra, venivano dedicati i riti propiziatori della fertilità con delle pratiche sciamaniche svolte per scongiurare gli effetti negativi della sua mutevole volontà. Avvolti in un alone di carattere magico, tali riti dedicati a figure insettiforme intorno al 10.000 a.C. in territorio italico coinvolgevano tanto la siciliana Grotta del Genovese a Levanzo, quanto la salentina Grotta dei Cervi di Porto Badisco, mentre in territorio bulgaro la Grotta Magùra, che nel suo nome rievocava già la magia dei riti in essa praticati.

La farfalla notturna, che per mimetizzarsi simula la presenza sulle ali di due grandi occhi (ocelli) simili a quelli degli uccelli rapaci notturni, probabilmente per quelle genti provate da eventi catastrofici e da gravi difficoltà di sopravvivenza, doveva apparire come una presenza ambivalente e trasmigrante tra il mondo solare e positivo della vita, rappresentato dalle coloratissime farfalle diurne e quello lunare e negativo delle più inquietanti farfalle notturne.

La distinzione di significato, derivata dalle sensazioni archetipiche da esse suscitate, passa attraverso la denominazione dei due distinti gruppi, pur appartenenti entrambi alla medesima specie dei lepidotteri. Il gruppo delle farfalle diurne è denominato ‘eteroneuro’ e quello delle farfalle notturne ‘omoneuro’. Tale nome è comunemente associato al mistero e alle arti magiche negative, ad individui di cui non fidarsi e ha tanto contribuito a suscitare sensazioni di paura, di sudditanza e di inspiegabile inquietudine, incidendo fortemente sulla formazione del DNA psichico delle genti mediterranee.

Nella società patriarcale, che aveva coniato i miti terrifici dell’antica Grecia, popolati da figure ctonie, Cassiopea era la figlia di Andromeda e di Zeus, che per essersi vantata di essere più bella delle ninfe Nereidi, fu condannata dal terribile Poseidone, loro padre, ad essere trasformata in costellazione. La sua posizione nel cielo doveva essere, però, instabile, così da dover essere considerata inaffidabile nel suo comportamento volubile.

Per il suo ribaltamento nel cielo, essendo una circumpolare nord, assumeva aspetto ambivalente, positivo e negativo. A volte sembrava descrivere una forma di ‘M’ (che divenne simbolo delle Madri buone…) e, a volte, invece, nella sua posizione capovolta, descriveva una più temuta forma di ‘W’.

Tale ancestrale connotazione della vanitosa fanciulla celeste decretò giudizi e valutazioni ambivalenti anche per le donne, spesso avviate sulla via del dolore e della espiazione di colpe immateriali, suscitate da ingiusti pregiudizi, che ancora permangono in molte società attuali.

Non dovrebbe neanche sembrare gratuito pensare che in tempi immemorabili, quando l’uomo poteva osservare anche molti oggetti celesti ad occhio nudo, doveva essere noto l’ammasso aperto in forma di uccello o di libellula in volo, oggi noto come NGC 457 e denominato “Ammasso civetta”, o “Ammasso libellula”, osservato per la prima volta con telescopio nella Costellazione Cassiopea nel 1787 da William Herschel.

In Egitto il geroglifico rappresentante una civetta significa “M” ed è riferito sia a “Mut” (Madre) che a “met” (morte).

Nello stesso Egitto, tuttavia, si poteva registrare la riabilitazione della Grande Madre per mezzo di Iside, la “Madre buona” associata alla costellazione Vergine. La residua costellazione Cassiopea era considerata il ‘trono di Iside’. Nello Zodiaco circolare di Dendera, infatti, Iside siede sul suo ‘trono’, tenendo in braccio il figlioletto Horo, avuto dopo la morte del marito Osiride. Al loro fianco vi è l’oggetto celeste denominato ‘mangiatoia’, un insieme astronomico figurato, che nell’epoca tolemaica (IV secolo a.C.) rappresentava un presagio dell’evento che alla conclusione dell’era dell’Ariete (2100-1 a.C.) avrebbe segnato, con la nascita di Cristo da una Madre Vergine, la nuova era dei Pesci e aperto un tempo in cui poteva avvenire, con il sacrificio di Cristo, il riscatto delle colpe attribuite alla Grande Madre astrale, dissipando dall’animo delle donne quel retaggio di archetipica inquietudine e di dolore, che rappresentano le conseguenze di quell’ingiustificata e irragionevole espiazione a torto concepita in fase ancestrale.1 of 3

La Farfalla Magura - Corriere Salentino

La Farfalla Magura - Corriere Salentino
La Farfalla Magura - Corriere Salentino

La resurrezione di Cristo

CRISTO APPARTENENTE ALLA STIRPE DI JESSE, PADRE DI DAVIDE E NONNO DI SALOMONE
La figura di Cristo, pur derivata dalle antiche divinità solari Giove, Helios, Apollo, presenti nell’antica concezione ciclica fondata sul perpetuo rigenerarsi della natura, fa mutare profondamente l’antica concezione del tempo ciclico.
Cristo si presenta all’umanità nell’aspetto di Cronocratore, ossia unico e insostituibile “principio e fine ultimo di ogni cosa”.
Al concetto di “rigenerazione”, che rappresenta l’effimero della natura, si sostituisce la resurrezione di Cristo, che in applicazione del patto di alleanza istituito dal Padre con l’umanità possiede la valenza della finalità teleologica riferita all’omega, ossia all’unica e non ciclica fine dei tempi, passaggio definitivo attraverso il quale l’anima risorge e si eleva ad una dimensione superiore, la sola nella quale è contemplato il compimento dell’ideale condizione della salvezza eterna dell’essere. (Marisa Grande)

TERREMOTI NEL MONDO DAL 20 MARZO AL 3 APRILE 2021

IRRADIAZIONE DI ELETTROMAGNETISMO DAI CENTRI DELLE CELLE GEOMAGNETICHE

CORRELAZIONE TRA TERREMOTI ALL’INTERNO DI CELLE GEOMAGNETICHE E GEOMORFOLOGICHE VIBRANTI AD ARMONICA SEI